Reggio Emilia. Il Museo della Storia della Psichiatria

Il padiglione Lombroso, uno degli edifici simbolo del complesso manicomiale del San Lazzaro di Reggio Emilia, si trova immerso in un grande parco, all’interno del quale sono dislocati numerosi edifici di tipologie ed epoche diverse. Per quasi un secolo il San Lazzaro fu luogo di dolore e costrizione. Oggi, dopo il suo restauro e la trasformazione in Museo, che ne ha rispettato comunque gli spazi originali, i materiali e le tracce del degrado e dell’abbandono che ne hanno segnato l’esistenza, è stato aperto al pubblico nel 2011 ed è oggi possibile ripercorre al suo interno, attraverso una visita guidata, non solo un pezzo di storia importante della città ma anche e soprattutto dell’intera psichiatria italiana.

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Padiglione Lombroso

La storia di San Lazzaro è la storia della Psichiatria

Il complesso del San Lazzaro, come evoca il nome, nasce durante il Medioevo come Lazzaretto, un ricovero per malati di peste e lebbra. Da Lazzaretto si trasforma poi in Ospizio, per dare riparo a poveri e vagabondi ma anche a quelli che noi oggi chiamiamo malati di mente.

Nel 1821 Francesco IV, Duca di Modena e Reggio, decise di iniziare un importante opera di ristrutturazione del San Lazzaro e chiamò il medico Antonio Galloni a dirigere la Real Casa De’ Pazzi, con il compito di destinare questo luogo alla sola cura degli alienati.

Con Antonio Galloni, nell’ambito di quelle che venivano definite terapie morali, si cominciò a capire che la malattia mentale, in quanto malattia, andava curata ed il lavoro era il miglior strumento di guarigione e riabilitazione. Nasce quindi in questo periodo, e verrà sviluppata in seguito, una Città nella Città, una vera e propria Cittadella, dove il paziente poteva lavorare, era impiegato in attività quotidiane e aveva la possibilità di socializzare, avendo una vita quasi normale all’interno della struttura.

Alla fine dell’Ottocento il manicomio non era più solo un luogo di contenimento della malattia, che comunque continua ad essere attuato soprattutto attraverso punizioni e strumenti infernali, ma diventa un luogo di studio e sperimentazione dove la ricerca scientifica e la formazione diventano un punto fondamentale. Si cominciarono a classificare le malattie e a creare cartelle cliniche e grazie all’influenza delle teorie di Cesare Lombroso, che sosteneva di poter trovare nei tratti dei volti la predisposizione alla follia, si iniziarono a studiare i tratti somatici dei pazienti. Al San Lazzaro fu quindi introdotto l’uso della fotografia a scopo diagnostico e documentario che lo rese un modello per gli altri ospedali psichiatrici italiani. Di quell’epoca si conserva un ricco archivio fotografico costituito da oltre 1.500 fotografie che ritraggono anche scene di vita comune.

In quegli anni il San Lazzaro divenne un luogo di eccellenza per quanto riguardava la ricerca scientifica e lo studio e la struttura cominciò a godere di fama europea. Nel 1900 venne premiato con una medaglia d’oro all’Esposizione Universale di Parigi e fu qui che, nel 1875, Carlo Livi fondò la Rivista Sperimentale di Freniatria.

Attraverso una convenzione con l’Università di Modena Livi trasformò il San Lazzaro in una Clinica Psichiatrica Universitaria nella quale creò anche un Museo (che definì di anticaglie) in cui raccolse e conservò i vecchi strumenti di contenzione e di terapia che possiamo vedere durante il percorso di visita: catene, manette, il casco del silenzio, le camice di forza, la macchina per il bagno di luce. Tutti oggetti che mettono un po’ i brividi e che garantivano tutto al di fuori del rispetto della dignità umana e dei diritti della libertà della persona.

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Celle del Padiglione Lombroso

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Camicia di Forza

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Durante la Prima Guerra Mondiale il centro diventa sede di Raccolta di militari affetti da disturbi psichiatrici e in questo periodo il San Lazzaro sviluppa anche un servizio di assistenza infantile. Gli anni del Secondo Conflitto Mondiale portano invece ad una progressiva decadenza della clinica. I bombardamenti del 1944 distrussero molti edifici e questi furono anche gli anni in cui si iniziarono a sperimentare le terapie elettroconvulsive (elettroshock) e la psicochirurgia (lobotomia). 

Verso la Chiusura

Fino al XX secolo purtroppo non esisteva una legge che regolamentasse le diverse realtà dei manicomi. Nella maggior parte dei casi, i ricoveri, infatti, erano coatti. Non si entrava perché malati, ma perché estremamente pericolosi ed è per questo che gli istituti manicomiali furono così repressivi. Il medico condotto tracciava un veloce quadro clinico del paziente che presentava disturbi e nel caso lo ritenesse pericoloso per la società, veniva richiesto all’autorità civile il ricovero nell’ospedale psichiatrico. Il paziente veniva tenuto in osservazione nei due padiglioni Tanzi e Morselli e poi veniva ricoverato, in base al sesso, al tipo di disturbo e alla classe sociale, al Padiglione Lombroso.

Ripercorrendone il lungo corridoio sembra ancora di sentirne le urla, attraverso i robusti portoni di legno che delimitano ogni cella e dai cui spioncini pare di vedere ancora gli internati seduti su brandine di arruginite.

Fu solo nel 1968 che la Legge Mariotti tentò di regolamentare la materia psichiatrica dettando norme sugli aspetti della gestione dei manicomi fino a considerare la possibilità del ricovero volontario e quella di istituire Centri di Igiene Mentali esterni. Ma erano ancora tanti, troppi, quelli che credevano che i manicomi non dovessero essere solo migliorati, ma chiusi per sempre. Primo fra tutti, Franco Basaglia. Nel 1978, la Legge 180 impose la chiusura dei manicomi superando finalmente l’idea di Ospedale Psichiatrico come luogo di contenimento repressivo e coatto.

La Chiusura, il Degrado e il Restauro

Dopo la Legge 180, il San Lazzaro non fu chiuso immediatamente. Venne abbattuto l’alto muro di cinta in mattoni, simbolo di segregazione, che divideva chi era ricoverato nella clinica dal mondo esterno e la struttura si avviò ad un lento stato di abbandono e degrado, ma l’ultimo paziente fu dimesso solo nel 1996.

Il restauro, iniziato nel 2009, grazie ad un contributo fornito dal Ministero per i Beni Culturali, ha voluto restituire alla comunità questi luoghi dimenticati ed il San Lazzaro è diventato anche un luogo di ricerca e di documentazione. Il patrimonio archivistico del San Lazzaro è di importanza assoluta nel panorama italiano, poiché conserva una ricca testimonianza di ogni aspetto della vita e della gestione dell’ex ospedale psichiatrico.

Durante i lavori di restauro sono emerse numerose tracce lasciate dai pazienti. Incisioni, graffiti e anche disegni fatti con le suole delle scarpe si possono ancora trovare sui muri del portico. Durante queste operazioni si è anche deciso di ricostruire e ricreare simbolicamente, attraverso una rete, l’antico muro di cinta originale, simbolo di crudeltà e costrizione.

Informazione e Prenotazioni

Il Museo della Storia della Psichiatria si trova in Via Amendola, 2 (area Ex San Lazzaro). E’ aperto tutti i sabati dalle 16.00 alle 18.00 ed è possibile visitarlo con visita guidata. Per informazioni e prenotazioni telefonate al numero 0522/335280 oppure mandate una mail a chiara.bombardieri@ausl.re.it 

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2 thoughts on “Reggio Emilia. Il Museo della Storia della Psichiatria

  • Reply Roberta Isceri 23 Marzo 2018 at 19:13

    Hai scritto un articolo fantastico! Io sono un’appassionata di psicologia e aborrisco la psichiatria. Naturalmente mi riferisco ai suoi lati bui, che non sono pochi… A Roma c’è l’ex manicomio di Santa Maria della Pietà, che per certi versi assomiglia a quello di Reggio Emilia. Al suo interno c’è un museo ed è estremamente commovente vedere i dipinti degli ex internati e le loro poesie…

  • Reply t-creation 24 Marzo 2018 at 17:22

    Wow bellissimo articolo complimenti!
    Questi luoghi sono sempre molto affascinanti, hai saputo fare un percorso molto dettagliato e davvero interessante.
    Sicuramente lo annoteremo tra i luoghi da visitare in futuro 🙂

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